MOLLY HATCHET – LA BANDIERA CONFEDERATA SVENTOLA SUL BALOMA
MOLLY HATCHET + MR. BREEZE
live @ Baloma Bikers, Cercemaggiore (CB)
– sabato 4 agosto 2018 –
LIVE REPORT –
È un appuntamento quasi sempre irrinunciabile, quello con il Baloma Bikers Festival, ogni primo sabato di agosto. Ufo, Uriah Heep, Tokyo Blade, Tygers Of Pan Tang, Cactus… sono soltanto alcuni dei nomi che hanno calcato le assi del palco molisano, e anche quest’anno, la 18ma edizione della kermesse di Cercemaggiore (CB) ha calato un asso di quelli che si portano via l’intera posta: i Molly Hatchet!
Al solito, l’aria è frizzante, autentico toccasana per chi, come il sottoscritto, proviene dall’afa della Capitale: tocca rapidamente vestire non una, ma addirittura due felpe. E noi ne siamo ben felici, sia perché è scongiurato il rischio della pioggia, ma soprattutto perché siamo consapevoli che a scaldarci provvederà l’infuocato rock’n’roll sudista delle bands impegnate questa sera.
Mr. Breeze
Ad aprire le danze sono infatti i fiorentini Mr.Breeze, e io lo dico forte e chiaro, di solito non sono un ammiratore, per usare un eufemismo, delle tribute bands, e certo mentirei se dicessi di essermi messo in viaggio per loro… ma chi ha il coraggio di non tributare i soliti, prevedibili nomi, scegliendo piuttosto di rendere omaggio ai Lynyrd Skynyrd ha il mio plauso incondizionato, soprattutto quando il tributo proviene dal cuore, e non dal desiderio di ottenere i facili riscontri di un pubblico casuale.
Le due chitarre graffiano come si deve, senza oscurare il piano honky tonk, mentre il cerimoniere Simone Sanchini si produce in una credibile versione con la “c” aspirata del mai dimenticato Ronnie Van Zant; e “Freebird” è l’inevitabile climax di una esibizione perfetta per una band chiamata a riscaldare la audience convenuta a Cerce.
____________________
Molly Hatchet
A mezzanotte in punto salgono sullo stage le principali attrazioni della serata, e i Molly mettono subito le cose in chiaro, con la clamorosa tripletta iniziale: “Whisky Man”, “Bounty Hunter” e “Gator Country” poste in apertura di set sono un deciso cazzotto nella faccia di ipotetici detrattori, testimoniando che il Sud picchia duro e che gli Hatchet sono, assieme ai mai dimenticati Blackfoot, i principali alfieri dell’ala più heavy di quel mai abbastanza lodato movimento.
Se un appunto va addebitato al combo di Jacksonville, esso risiede nella presenza di un solo chitarrista nella line-up della serata: Bobby Ingram, leader del gruppo in cui milita ininterrottamente dal gennaio 1987, svolge un lavoro egregio sdoppiandosi senza fatica tra ritmica e solista, ma la gran parte dei brani del set sono stati concepiti per una formazione a tre chitarre. D’altronde, rispetto a quando li ho visti l’ultima volta (Vigevano, 2012, in apertura ai Lynyrd Skynyrd), non è più della partita l’altro chitarrista Dave Hlubek, diventato il quinto membro originale ad aver lasciato questa valle di lacrime; e a sostituirlo è stato chiamato non già un altro axeman, bensì il tastierista di ritornoJohn Galvin, ormai nel giro degli Hatchet dal lontano ’85.
Sia chiaro, quando Ingram comincia la sua turbinosa attività solistica il sound d’insieme non ne risente: la potenza resta inalterata grazie all’ottima prestazione del bassista Tim Lindsey e soprattutto del terremotante Shawn Beamer dietro le pelli, che si concede anche un breve spot solista.
Che dire poi del frontman, Phil McCormack? Da consumati veterani dell’entertainment, gli Hatchet ci propongono la pantomina del suo compleanno che, annunciano, cadrebbe proprio la sera del concerto… anche se ad una rapida ricerca in rete si scopre che il cantante ha raggiunto il traguardo dei 58 anni alcuni giorni prima. Lui comunque sta al gioco e trangugia una delle ciambelle che l’onnipresente, scorbuticissimo roadie gli recapita sul palco. Phil rappresenta esattamente quello che si richiede ad un cantante dei Molly Hatchet: una voce al vetriolo, molto simile a quella del grande Danny Joe Brown, il primo, indimenticato singer dell’act della Florida.
Il repertorio si basa, ancora oggi, principalmente sui primi due dischi, compresa la cover degli Allman Brothers, “Dreams”, e l’unica escursione post anni 80 che Ingram e soci si consentono è la title track di “Devil’s Canyon”, un disco che ha comunque oltre vent’anni. Ma va benissimo così, naturalmente: i Molly non sono certo clienti frequenti della Penisola, e quelle rare volte che suonano nel Bel Paese noi pretendiamo di ascoltarne i classici!
La seconda pecca di un concerto per il resto ottimo, sta nell’esecuzione di “Fall Of The Peacemakers”, la loro piece de resistance, il loro brano epico, la loro “Freebird”, tratta dal quinto full length “No Guts, No Glory”. Stavo già pregustando il crescendo finale, l’orgia chitarristica… e invece la canzone è stata accorciata, che delusione! Ed è inevitabile pensare che questo sgradevole “edit” sia dipeso proprio dalla carenza di chitarristi nella formazione… con chi infatti avrebbe dovuto duellare Ingram, avendo deciso di rimanere l’unico axeman del gruppo?
Tutto sommato comunque, veder virtualmente sventolare il vessillo confederato e ascoltare un repertorio stellare eseguito da una formazione ottima e ormai rodata da decenni, seppur totalmente priva di membri originali, è stata in ogni caso un’esperienza gratificante, soprattutto se aggiunta alla prepotente performance romana della Strana Officina appena la sera prima; e i paradisiaci cornetti appena sfornati dal consueto bar di Venafro durante il ritorno notturno hanno completato una trasferta, al solito, priva di pecche e pregna di grandi emozioni… il tutto nel segno del Rock’n’Roll.
(Giovanni Loria)
si ringraziano Roberto Manenti (MetalForce) e Metal Maximum Radio per la gentile collaborazione. Foto di Stefano Panaro (MetalForce)